Nel 1977, da un avviso in una bacheca di una scuola di Dublino affisso dal batterista Larry Mullen, nasce una delle band più importanti della storia della musica moderna mondiale. A rispondere a quell’appello sono i fratelli Evans, entrambi chitarristi, Adam Clayton, bassista, e il carismatico Paul Hewson, che porta già in dote il nome d’arte “Bono Vox”, ispirato da un negozio di strumenti musicali. Dei due fratelli Evans, David resta nella band e diviene il chitarrista ufficiale del gruppo con lo pseudonimo di “The Edge”. Parte così il viaggio del gruppo irlandese, di ispirazione punk ma, da subito, nei fatti, profondamente rock.
Lo si capisce subito che nel loro sound non c’è molto dei Sex Pistols, dei Clash o delle altre band del punk britannico ribelle, anarchico, rivoluzionario. Loro alla fine sono dei bravi ragazzi, cattolici, che fanno di un giubbotto in pelle nera il loro passaporto verso la musica che viene dal basso, dalla strada.
Fanno tutto bene i 4 “ragazzacci” d’Oltremanica. Scelgono un nome originale, U2, ispirandosi all’omonimo nome di un aereo spia statunitense della Seconda guerra mondiale, che permette anche uno scontato gioco di parole: “you too”. E scelgono anche un buon produttore. Da subito ricevono apprezzamenti e attenzioni. L’uscita del loro primo album, Boy, non passa inosservata.
Da subito la band fa intendere di non voler parlare d’amore o di temi leggeri ma affronta temi dal forte impegno sociale. “Sunday bloody Sunday” è una marcia miscelata ad un rock basico scritta in ricordo dell’eccidio di cattolici perpetrato dai paracadutisti inglesi nel 1972 nel corso di una manifestazione pacifica per i diritti civili. Una contrapposizione musicale alle armi della repressione. Anche New Year’s Day appare ispirata dalla repressione contro il movimento “Solidarnosc” in Polonia. Il giro di basso di Clayton e il piano di The Edge ne fanno un pezzo molto originale e di grande atmosfera. Nel 1984 gli U2 cambiano produttore e si affidano all’esperto Brian Eno. Il loro suono migliora e il rock basico si raffina in pezzi quali “Unforgettable fire”, il “fuoco indimenticabile” della bomba atomica su Hiroshima e, soprattutto in “Pride (In the name of love)”, dedicata a Martin Luther King, pastore protestante e attivista politico, icona della lotta degli afroamericani d’America per la conquista dei diritti civili.
Da qui parte un amore-odio verso gli Stati Uniti, un’aspra lotta interiore che ha visto il prevalere, nel cuore dei 4 rocker, del fascino della bella vita da popstar americana e delle grandi ville hollywoodiane sulle strade rotte e sui verdi prati d’Irlanda. E così anche la loro musica, sebbene conservi ancora oggi una grande cifra tecnica, ha perso nel tempo il graffio dei primi anni venendosi a fondere e confondere con le tante canzonette commerciali di cui il pop-rock mondiale è da sempre pieno.